Aeroporto di Suvarnabhumi, Bangkok. Sono stanchissima, l’aria condizionata è sparata al massimo e più di un aeroporto sembra di essere in una cella frigorifera. Però finalmente ci siamo, ci sono. Sono in Asia.
“Caspita, questo aeroporto è immenso” ricordo essere stata la mia prima esclamazione. Affollato, ampissimo, caotico. La gente si muove in un via-vai frenetico. E c’è tanta, tanta gente, una babele di popoli.
Ricomponiamo il gruppo e riusciamo finalmente a uscire dall’aeroporto, giusto in tempo per litigare con una coppia inglese con cui ci contendiamo un taxi. Il tasso di umidità è alle stelle; il caldo si fa sentire da subito.
Raggiungere il nostro hotel, in centro città, si rivela un’impresa. È rush hour a Bangkok e il traffico è terribilmente intenso. Ci mettiamo un’ora per arrivare. Qualcuno ha avuto la brillante idea di scegliere un hotel nella zona di Khao San Road, ovvero la zona più turistica di Bangkok, affollata di locali, ristoranti, bancarelle di street food e abbigliamento da thai boxe. Ci facciamo largo tra la folla con i bagagli.
Quella sera abbiamo un piccolo assaggio di Bangkok. Negli stand di streetfood fanno capolino insetti di ogni genere, cimici e scorpioni arrostiti, tutti pronti da assaggiare in versione spiedino (vuoi fotografarli? Devi pagare un dollaro). Grazie ma no. Non sono ancora pronta. Frotte di giovani occidentali affollano le strade e occupano le poltrone delle spa all’aria aperta in cui per pochi dollari ci si può far fare un massaggio ai piedi.
È un turbinio di colori, di odori, di rumori in quella che sembra essere una capitale del divertimento. A misura di turista occidentale. Sono abbastanza spiazzata. Il mio approccio con l’Asia non è esattamente come me l’aspettavo. Spiritualità, misticismo, pace interiore.. qui è l’esatto opposto. Dove sono??
L’indomani mattina abbiamo un volo che ci aspetta e si va a letto presto. Il nostro hotel è proprio accanto a un locale che spara musica disco “a palla” e mi basta poco per capire che quella notte non dormirò un gran che.
Come volevasi dimostrare. Nella mia stanza l’aria condizionata non funziona e nella vana speranza di dormire devo fare una scelta: o dormire con la finestra aperta ma con “Gnam gnam style” di Psy sparata a un milione di decibel (i tappi per le orecchie della Qatar Airways è come non averle) fino alle 4 di notte oppure dormire con la finestra chiusa (impossibile).
Insomma, il mio primo incontro con Bangkok, e con l’Asia, non è cominciato proprio bene.
Per similitudine mi viene in mente
il mio primo arrivo in Africa, nel piccolo e sgangherato aeroporto di
Zanzibar, nel 2007. Che shock. Avevo sognato per mesi il momento in cui avrei finalmente messo piede sul suolo africano e mi immaginavo uno scenario idilliaco, in uno stato d’animo estasiato. Tutt’altro.
Sono a Bangkok solo di passaggio; l’indomani un altro aereo mi porterà in Cambogia, il paese che ho scelto per il mio primo viaggio in Asia. La similitudine è doppia: anche a Zanzibar ero solo di passaggio; dopo poco avrei preso un aeroplanino che mi avrebbe portato ad Arusha, nella Tanzania continentale.
La prima impressione è quella che conta? In molti casi non è vero. Ho già il sospetto che se il primo mio incontro un pò traumatico con l’Asia avrà lo stesso risvolto – oserei dire catartico – del mio incontro con l’Africa…. l’Asia assumerà presto un posto importante nel mio cuore.
“Perché l’Asia? Ci andai anzitutto perché era lontana, perché mi dava l’impressione di una terra in cui c’era ancora qualcosa da scoprire. Ci andai in cerca dell’altro, di tutto quello che non conoscevo, all’inseguimento d’idee, di uomini, di storie di cui avevo solo letto.”
(Tiziano Terzani)