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sud-est asiatico

Tappa a Chiang Dao, tra natura e misticismo

Chiang Mai e Chiang Rai le avevo messe in conto, s’intende, ma questa Chiang Dao da che parte è saltata fuori? Bella domanda. Chiang Dao è uno di quei posti che appena ne ho letto sulla guida mi ha fatto subito simpatia. E come sempre succede in questi casi, una volta che avverto che la scintilla è scattata, so che devo andarci, ormai mi son fissata. Ero a Chiang Mai e avevo ancora qualche giorno a disposizione prima della scadenza del visto e prima di spostarmi verso il Laos, quindi potevo tranquillamente fare qualche tappa nella provincia di Chiang Mai. Mae-Hong Son? Pai? No, Chiang Dao.

Chiang Dao si trova 72 km a nord di Chiang Mai, immerso tra giungle e pareti calcaree, dove svetta un mitico doi, il Doi Chiang Dao, la montagna calcarea più alta della Thailandia, che ospita anche una grotta-santuario molto frequentata dai fedeli. Chiang Dao è il posto adatto per fare trekking, perdersi nel verde e concedersi una parentesi di relax dopo il dolce trambusto di Chiang Mai.

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La mia prima volta a Singapore: qualche consiglio pratico

Erano i primissimi anni ’80 quando in radio passava una canzone dal testo insulso  – come ne giravano tante in quegli anni – che nel ritornello ripeteva fino allo sfinimento “Singapore, vado a Singapore, vi saluto belle signore!“. Non so se fu per via del ritornello orecchiabile o per qualche altro recondito motivo, ma a me quel “Singapore” si impresse nella mia testa di bambina e viaggiatrice in erba.

Quel “Singapore” mi incuriosiva.

A marzo 2015 ho potuto finalmente dare un volto a quella città dal sapore così esotico e misterioso. Con la mia visita a Singapore ho realizzato uno dei miei sogni di viaggio. Ma non solo: Singapore ha lasciato il segno.

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Sopravvivere agli sleeping bus del Sud-Est Asiatico

Il primo della mia vita me lo ricordo benissimo: era giallo polenta e kitsch, con tanto di Winnie The Pooh aerografato sui lati e lucine al neon. Un pugno in un occhio insomma. Però sembrava moderno e in ordine e in un certo qual modo mi ispirava simpatia.

Io ero eccitatissima; fino a quel momento avevo viaggiato con bus, treni e sgangherati mezzi locali; dopo due mesi in viaggio nel Sud-Est Asiatico era arrivato il momento di fare questa nuova esperienza. In testa avevo mille domande e anche qualche ansia (come sarà all’interno? sarà comodo?riuscirò a dormire? la mia scorta di Travelgum sarà sufficiente? perché c’è scritto “good luck” in fondo al biglietto??). L’avrei scoperto di lì a poco.
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Ritorno a Phnom Penh

La leggenda racconta che un giorno una donna, di nome Penh, mentre passeggiava lungo il fiume Mekong trovò un tronco che conteneva quattro statue del Buddha. Madame Penh decise subito di deporre le statue in una pagoda sulla cima di un poggio alberato. Così sarebbe nata Phnom Penh, la capitale della Cambogia, e il suo tempio più importante, il Wat Phnom, che significa appunto “Tempio della collina”.

Un’aura di mito e leggenda pervade ancora la città, nonostante nel frattempo Phnom Penh sia diventata una metropoli da due milioni di abitanti affollata da frotte di turisti che la visitano in migliaia ogni anno e con il conseguente fiorire di ristoranti occidentali e hotel di charme.

Vista la prima volta nel 2012, nel mio primo viaggio in Cambogia, ne restai colpita e affascinata. Ma arrivando dopo giorni trascorsi nella campagna cambogiana, trovarmi nel suo caotico traffico di gente e motori fu quasi uno shock. Tornandoci ora, dopo essere stata per un mese tra le strombazzanti città vietnamite mi è parsa invece straordinariamente silenziosa. Ma sempre dell’idea che è una città piacevolissima.

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L’isola di Cat Ba: non la solita Halong Bay

Ci sono quei posti di cui leggi sulla guida, per caso, ed è subito amore. Ti scatta una scintilla dentro e hai come il presentimento che quel luogo ti piacerà. Lo sai già molto prima di essere lì. Così dici tra te e te che lì ci devi andare, è deciso. Non stai tanto a sentire i consigli di chi ci è già stato: se capita che ti fissi (con me funziona così), ti dici che un motivo ci sarà.

Con l’isola di Cat Ba è andata un po’ così. Compro una Lonely Planet del Vietnam di seconda mano in una libreria di Luang Prabang e mi metto a sfogliarla, senza la più pallida idea di dove sarei finita. Hanoi? Certo. La Baia di Halong? Certo che sì. E Cat Ba Island? Non l’ho mai sentita prima, ma già il nome mi ispira simpatia.

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