L’ufficiale che mi sta di fronte mi fa cenno di appoggiare il dito indice. Poi mugugna qualcosa e mi indica lo sgabello dietro di me. Mi siedo, guardo attraverso la webcam e click, la foto è fatta. La stampa e me la mostra quasi a chiedermi se è di mio gradimento: come visto per il mio passaporto andrà benissimo.
Abbiamo appena lasciato il Malawi e ci troviamo alla frontiera di Milange, nella provincia della Zambesia, Mozambico del nord. Dopo un paio d’ore di attesa burocratica in un ufficio in cui il tasso di umidità è ben al di sopra della nostra soglia di sopportazione, ci vengono finalmente ridati i passaporti: finalmente siamo liberi di entrare in Mozambico! Da adesso in poi basta eredità coloniale inglese, si comincia a parlare portoghese. E tutto appare subito diverso.
La gente mi appare fin da subito un po’ meno cordiale del popolo malawiano, eppure più cosciente delle proprie possibilità, più progredita, più consapevole. Nei villaggi in parecchi sfrecciano fieramente sulle loro motorette Lifo, ci guardano con curiosità quasi a sfidarci, cercano di venderci la loro mercanzia ma cercano anche di guadagnarci qualcosa di più approfittando del fatto che siamo turisti. Il fatto stesso di parlare portoghese, una lingua molto più musicale e calda dell’inglese e di discendenza vicina alla nostra, ce li fa sentire più vicini, più simili a noi. Con loro si parla un misto di portoghese, spagnolo e italiano e comunque ci si capisce. È una sensazione particolare ma piacevole, in Mozambico mi sento molto più “a casa” che in altri paesi africani visti fin’ora.
Anche il paesaggio nel frattempo è cambiato: lungo il percorso ci imbattiamo in numerosi inselberg, dei massi granitici che svettano nel mezzo della pianura come se fossero stati messi lì per caso.
Siamo in viaggio verso la costa: la nostra prima destinazione sarà Ilha de Moçambique, la magica isola decantata da pittori e artisti. Il percorso è però ancora lungo. Le strade sono poche e asfaltate solo in minima parte.
Viaggiamo nel rosso acceso della terra mozambicana che si sposa benissimo con l’azzurro intenso del cielo, il bianco candidissimo delle nuvole che sembrano disegnate dalla maestria di un pittore e il verde intenso della vegetazione nella stagione delle piogge. La pioggia ogni tanto ci fa compagnia, petulante e imperterrita, ma quando torna il sole il paesaggio si accende di colori che mai potremmo trovare nella stagione secca.
La prima sosta è a Mocuba, piccola città sperduta in mezzo al nulla che ricorda una città da film western: un’unica strada polverosa (fino a poco tempo fa nemmeno asfaltata) su cui si affaccia qualche pensione, qualche bar, qualche stazione di benzina. Una scelta obbligata quindi, un punto di passaggio obbligato. Ci arriviamo che è sera, per fortuna alla Pensão Cruzeiro, la pensione più accettabile di tutta Mocuba, si sono ricordati della nostra prenotazione.
Andiamo a cena in un ristorante lì vicino: per poter mettere qualcosa sotto i denti dobbiamo essere pazienti, molto pazienti. Dopo un paio di ore abbondanti la nostra cena è servita: anche questo è il Mozambico.
L’indomani ci aspetta un bel sole. A Mocuba compriamo il pane: ebbene sì, grazie all’eredità coloniale portoghese possiamo fare colazione con delle belle pagnotte calde appena sfornate. Attraversiamo il Rio Licungo, in cui al mattino presto donne e bambini si lavano e fanno il bucato nelle sue fredde acque. Ben presto siamo di nuovo in viaggio; lungo il percorso donne e bambini vendono mango e prodotti della terra.
Il sole splende dopo una giornata di pioggia e ci regala strade impegnative ma panorami splendidi: grossi nuvoloni bianchi in cielo assumono le forme più bizzarre e io resto incantata a guardarle. Il panorama è assai variegato, la vegetazione rigogliosissima ovunque. I villaggi sono pochi e molto distanti tra loro. Ci accorgiamo che in Mozambico le distanza sono davvero immense.
Durante la giornata facciamo sosta lungo il percorso: la gente dei villaggi si avvicina incuriosita, regaliamo vestiario e penne destinati soprattutto ai bambini. Un “boa tarde” (“buon pomeriggio” in portoghese, ndr) non lo si nega a nessuno.
La sosta a Nampula è un altro punto obbligato del nostro viaggio verso la costa: ci fermiamo per la notte e facciamo rifornimenti, nient’altro. La città non ha molto da offrire, anche se è la terza città più grande del Paese, centro commerciale e amministrativo, sede di un aeroporto e di uno snodo ferroviario importante. (Posso dirlo? Nampula è proprio bruttina).
Una volta lasciata Nampula, nei villaggi disseminati lungo la strada cominciano a far capolino le palme; intuiamo allora che forse siamo davvero in prossimità dell’Oceano. Come bambini che vedono per la prima volta il mare sussultiamo emozionati quando arriviamo all’Oceano Indiano.
Eccolo! Finalmente spiagge di sabbia bianchissima, acqua azzurrissima e il ponte che collega Ilha de Moçambique con la terraferma. Ilha è un luogo unico nel suo genere. Dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Unesco e prima capitale del Paese, a lei si deve il nome “Mozambico”. La leggenda vuole che quando Vasco de Gama vi arrivò nel 1498 interrogò il signore locale che disse di chiamarsi “Mussa Bin Iki” o “Mussa al Ambiki”: da lì “Ilha de Moussambiki” e poi “Ilha de Moçambique”.
Nei tre giorni successivi che abbiamo trascorso sull’Isola abbiamo avuto modo di esplorarla e perderci nei suoi vicoli pittoreschi: la Città di Pietra, con il suo fascino decadente, i suoi antichi palazzi coloniali un tempo coloratissimi ora incrostati dal tempo e dalla salsedine, e la Città Macuti, la zona delle capanne di paglia in cui vive la stragrande maggior parte dei 15.000 abitanti dell’isola.
La Città di Pietra è ormai una città fantasma, in cui aleggia nell’aria la testimonianza di un passato glorioso e potente. A nord si trova l’imponente Fortezza di San Sebastiao, in cui è contenuta quella che è la prima chiesa cattolica costruita nell’Africa sub-sahariana. Ci siamo persi nel mercato del pesce, ci siamo mischiati alla popolazione locale, abbiamo frequentato i suoi mercati e passeggiato lungo le spiagge, tra le mangrovie e i tanti bambini che ci hanno accompagnato nei nostri giri.
Eccoci infine lasciare Ilha per Pemba, capoluogo della provincia di Capo Delgado. Ci accoglie un’immensa baia, tra le più grandi al mondo; svoltiamo a destra, verso la spiaggia di Wimbe. Qui la spiaggia è calma, tranquilla, invitante. Tutto ad un tratto ci troviamo in una zona del Mozambico diversa, quasi turistica, in cui non mancano lodge, campeggi, ristoranti e dive-center. Questa zona del Mozambico sta infatti assumendo un ruolo sempre più rilevante dal punto di vista turistico.
A Pemba si trova il piccolo aeroporto con cui si possono raggiungere le favolose isole Quirimbas, nuova destinazione del turismo a quattro stelle. Lentamente anche la stessa costa del Mozambico settentrionale si sta aprendo al turismo e si prevede che nei prossimi anni sorgeranno sempre maggiori strutture turistiche.
Il mio soggiorno nel nord del Mozambico si conclude però a Murrebuè, sperduta località in mezzo al nulla ad una ventina di km a sud di Pemba. In un eco-lodge direttamente sulla spiaggia, spartano ma carinissimo e curato fin nei minimi dettagli, mi aspettano tre giorni di assoluto relax. La spiaggia bianca – lunghissima – ci accoglie al mattino con la bassa marea: l’oceano è così ritirato che per raggiungerlo dobbiamo percorrere quasi un chilometro a piedi.
Andiamo incontro ai pescatori che ritirano le reti, alle donne e ai bambini che raccolgono i molluschi. Il paesaggio è surreale: la sabbia bianca, striata di celeste mi ricorda più un paesaggio desertico, quasi lunare, in costante divenire. La marea progressivamente si alza: l’acqua azzurrissima ricopre le lingue di sabbia e avvolge le mangrovie, le stelle marine tornano a nascondersi tra le alghe che conferiscono all’oceano quelle tinte di verde.
Ogni giorno l’Oceano ci regala un aspetto diverso, dei colori nuovi, ci abbraccia dolcemente e ci tiene con sé. Noi camminiamo beatamente in mezzo ad esso, ci lasciamo guidare dalle nostre emozioni e dalle nostre sensazioni in quei momenti. Non vorrei mai doverne uscire ma l’acqua si sta alzando. Non vorrei mai dover abbandonare questi posti ma anche questo viaggio volge al termine.
Ci prefiggiamo di tornarci. Mi auguro che quando tornerò potrò trovare ancora questa natura selvaggia e intatta che – così come i suoi abitanti – non vuole lasciarsi civilizzare troppo e che soprattutto non vuole farsi rovinare dal turismo di massa.
Che bel viaggio, complimenti!
Il Mozambico deve essere incredibile, ed è sulla mia lista virtuale di luoghi da vedere…
Pensi che sia troppo impegnativo per dei bambini? Avete fatto la profilassi antimalarica? E il cibo, che si mangia in Mozambico?
Grazie in anticipo!!
Ciao Francesca, benvenuta sul mio blog e grazie per il tuo commento! Il Mozambico è davvero un paese ancora molto selvaggio, il turismo di massa (per fortuna) non ci è ancora arrivato e non ha ancora fatto danni. Detto questo direi che per dei bambini è parecchio impegnativo (ma anche per alcuni adulti!). Dipende però come sono abituati i bimbi. Sulla costa si mangia del buonissimo pesce, per il resto il "solito" cibo africano (riso, pollo, patate, frutta) con in più una felice new entry, il pane, grazie al passato coloniale portoghese. Per qualsiasi altra cosa chiedi pure!
Proprio perché non è ancora una meta di massa, il Mozambico mi attira moltissimo!
I miei bimbi sono abituati abbastanza a viaggiare, e per il cibo mi conforta quello che hai scritto!
Il tasto dolente quando si parla di Africa sub sahariana è il pericolo della malaria, e l'opportunità della profilassi per i bambini. Che mi dici a proposito??? 🙂
Ciao Francesca! L'argomento malaria è un argomento "spinoso" quando si parla di Africa, ancora più delicato se riguarda i bambini. Non ho figli e non ti so dire con esattezza cosa è consigliato per la profilassi antimalarica ai bambini. Ti consiglio di chiedere al tuo medico o di rivolgerti all'ASL. L'argomento è davvero "relativo": anche tra gli adulti c'è chi fa la profilassi ogni volta che va in Africa, chi sceglie la via omeopatica, chi non fa la profilassi e segue solo misure "meccaniche" (repellenti, dormire sempre sotto le zanzariere, maniche lunghe dopo il tramonto, etc). L'importante è che tutto questo non diventi una fobia o un deterrente a non andare in Africa: sarebbe davvero un peccato.
Fammi sapere!