Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele ma non solo, ma è un grave errore: vivere a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro (Peggy Guggenheim)
Ci sono dei luoghi che raccontano storie e che instillano la curiosità più vera, la voglia di conoscere a fondo i loro protagonisti. Storie da rispolverare, da leggere e scoprire, che ammaliano con il loro fascino e che trasmettono il carisma di chi li ha vissute (e create). Così è stato per me nella mia prima visita alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia.
Il Peggy Guggenheim non è solo una collezione, non è solo una (straordinaria) galleria d’arte (tra le più importanti al mondo). Esso racconta la storia e la vita della sua creatrice, Peggy Guggenheim, la “signora del Modernismo”, mecenate e collezionista d’arte, donna istrionica e straordinaria (è sua la frase “Meglio che parlino male di me piuttosto che mi ignorino”), che qui visse a lungo, nello stesso palazzo – Palazzo Venier dei Leoni – che ospita oggi la sua collezione.
Visitando la collezione mi è sembrato che le stesse pareti del palazzo mi parlassero di lei e che le opere esposte (più di 200, il meglio del modernismo americano, ma anche del surrealismo e del futurismo italiano) portassero la sua impronta.
Come racconta Paolo Barozzi, che fu a lungo assistente personale e amico di Peggy, in Peggy Guggenheim: una donna, una collezione, Venezia, dei tanti amori veri o fasulli che le furono attribuiti, ce ne fu uno che durò in assoluto più di tutti gli altri: quello per Venezia. La sua collezione d’arte, lo scopo principale e motore ultimo della sua esistenza, veniva alimentato grazie al suo grande amore per Venezia.
Ma chi era Peggy Guggenheim?
Nata nel 1908 a New York in una ricca famiglia di industriali di origine svizzera, Peggy vive un’infanzia piuttosto infelice e solitaria, segnata dalla morte del padre, passeggero a bordo del Titanic e da una salute particolarmente cagionevole. Felicità per Peggy significa viaggiare, così appena entra in possesso dell’eredità si concede un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti. Peggy era però inesorabilmente attratta dall’Europa: l’Inghilterra prima, Parigi poi, dove comincia a frequentare il circolo degli artisti bohémien di Montparnasse, e quindi l’Italia. Con il suo primo marito, Laurence Vail, verso la metà degli anni ’20 visita per la prima volta Venezia, di cui scrisse:
Mi portò a passeggiare per quella città senza cavalli né automobili e in me nacque una passione per essa che doveva durare tutta la vita (..) Tutto a Venezia è non solo meraviglioso, ma sorprendente.. si è sempre sul punto di perdersi nei vicoli: alla fine si sbuca sul Canal Grande, ma mai dove si vorrebbe..
Era nato il grande amore di Peggy per Venezia.
Da New York a Venezia
Negli anni ’30 Peggy decide di aprire una galleria d’arte d’avanguardia a Londra, consigliata da Marcel Duchamp, suo grande amico. A quel tempo fa fatica a vendere le opere che le vendono affidate così decide di comprarle personalmente: è l’inizio della sua collezione personale. Nel ’42 realizza un sogno: riesce ad aprire una galleria a New York, che chiama Art of this Century, frequentata da molti artisti europei in esilio che formeranno il nucleo della scuola dell’Espressionismo astratto made in New York.
Da tempo Peggy medita però di lasciare New York per realizzare un suo grande sogno: trasferirsi a Venezia. L’occasione arriva nel 1948 con l’invito della Biennale di esporre la sua collezione personale. L’anno successivo trova un palazzo settecentesco affacciato sul Canal Grande di cui è rimane entusiasta: è Palazzo Venier dei Leoni, con un lunghissima galleria perfetta per ospitare la sua collezione, un bel giardino secolare e una magnifica terrazza (ideale per Peggy che amava molto prendere il sole). Peggy lo acquista e lo fa diventare lo spazio espositivo della sua collezione e la sua stessa casa. La collezione viene aperta al pubblico: il biglietto è gratuito, solo i cataloghi sono in vendita (è proprio grazie a quel ricavato che Peggy riesce a pagare le spese di mantenimento del palazzo).
Intanto, nel 1954, decide di fare un lungo viaggio tra Ceylon, l’India e il Tibet. Torna in visita più volte a New York ma ne resta profondamente delusa (l’arte le sembra diventata mera speculazione), visita Santorini (Barozzi la definisce una “compagna di viaggio stimolante”), Londra, Stoccolma, Parigi.
Nel 1962, con sua grande gioia, viene fatta cittadina onoraria di Venezia. In quegli stessi anni prende accordi con il cugino Harry affinché la sua collezione resti a Palazzo Venier anche dopo la sua morte, rimanendo comunque di proprietà del Museo Guggenheim di New York che l’avrebbe amministrata. Peggy ne è molto felice: realizza il suo sogno di lasciare i sui quadri a Venezia. Del resto non avrebbe mai voluto che finissero esposti al Guggenheim di New York (che definiva “il garage di mio zio”), con il quale esisteva un’antica rivalità.
Nei primi tempi del suo soggiorno a Venezia Peggy sarebbe andata in gondola per giornate intere; poi ridusse i suoi giri a quattro ore al giorno e poi a due. Nulla poteva sottrarla alla sua gioia quotidiana: qualsiasi cosa stesse facendo, quando arrivava l’ora, abbandonava tutto e tutti e saliva in gondola, in compagnia dei suoi amatissimi cani terrier Lhasa (razza tibetana considerata sacra dal Dalai Lama) da cui non si separava mai. Paolo Barozzi ricorda bene l’ultima volta che uscì con lei in gondola:
Ci addentrammo nel labirinto dei canali interni e Peggy osservava, commentava ogni aspetto di quella Venezia che amava non come una città ma come una persona viva. Ogni sua parola era una parola d’amore. Quando passammo accanto al palazzo di Bianca Capello a Sant’Apollinare, mi ricordò che lì Henry James (ndr: il suo autore preferito) aveva scritto Il carteggio Aspern e io pensai che lei, come l’eroina di Le ali della colomba, era l’incarnazione stessa di Venezia.