Lampang mi piace talmente tanto che ho deciso di restare per altre due notti. La città è piccola, accogliente, il clima è splendido, gli abitanti sono quanto di più cordiale io possa immaginarmi. Forse è proprio per questo che il proprietario della guesthouse dove mi trovo, un posto per backpacker spartano ma carino vicino al fiume, mi lancia la proposta: “Vuoi venire con me e mia moglie a una festa stasera?“.
Potrei forse dire di no? Colgo l’invito con entusiasmo e dico subito di sì, senza pensarci due volte. Già mi immagino lo scenario: musica e canti tradizionali thai, magari qualche danzatore, bancarelle di street food e solo locali, zero turisti. Chissà che belle foto potrò fare, chissà che atmosfera…una di quelle serate che non ci dimentica più!
Capisco che c’è qualcosa che non va appena arriviamo e metto un piede fuori dalla macchina; nell’aria non sento le melodie del gamelan o i canti tipici delle tradizioni thai. Quella che arriva alle mie orecchie è una canzone dei Creedence Clearwater Revival, che sono sì uno dei miei gruppi preferiti, ma che mai e poi mai mi sarei aspettata di trovare.
Dove sono finita? Mi hanno portata al Lampang Cowboy Extreme, una festa sì dei locali, ma una festa in stile western. A quanto pare è la prima edizione ed è l’evento clou del weekend.
Delusa? Triste? Stupita? La prima cosa che mi viene da pensare è “tutto questo è pazzesco!”. Uno viene in Thailandia per cercare di conoscere e andare a spulciare quanto di tradizionale è rimasto della cultura locale, per imbattersi in un festival di cultura occidentale?
Su un grande palco una cover band canta country music, mentre la gente mangia e beve seduta su dei covoni di fieno. Tutto intorno ricostruzioni di saloon western, il toro meccanico, bancarelle che vendono jeans, giacche di pelle e gadget degli Indiani d’America. Segue una dimostrazione di un finto nativo americano a cavallo che finge un inseguimento a cavallo e sfodera pistola e frusta, la sfilata di alcune cow-girl che sembra stiano partecipando a un concorso di bellezza.
Tutto questo mi suona familiare. Non è forse tutto un concentrato di occidentalità all’ennesima potenza?
La cosa più sorprendente sono proprio loro, i thai locali, che in maggior parte indossano cappelli da cowboy, stivaloni e giacche di pelle. C’è chi sguaina la pistola (giocattolo, mi auguro), chi è venuto in sella alla sua Harley Davidson (in parecchi), chi esibisce con orgoglio la bandiera americana. Tutti ci tengono a sottolineare che suonano in un gruppo o che sono rider.
Capisco subito di essere finita in quella che sarà una delle serate più incredibili della mia vita. Vengo presentata a tutti e tutti mi accolgono con calore, offrendomi da bere, sfoderando anche qualche parola d’inglese in più del thailandese medio. Sono fin da subito la loro beniamina. Mi metto nei loro panni: in quanto simpatizzanti del mondo occidentale probabilmente si stanno sentendo piacevolmente sorpresi e felici di avermi lì, quasi come quando io incontro un monaco buddhista dalle mie parti.
Stupore e delusione a parte, mi si apre in testa una serie di riflessioni. Perché stupirmi? Perché intristirmi? Perché sentirmi delusa? Non è forse la stessa cosa che facciamo noi, a casa nostra in occidente, con tutto il nostro proliferare di festival d’oriente, corsi di yoga e discipline orientali, gruppi buddhisti e quant’altro? In fondo è la stessa cosa ed è curioso che lo facciamo entrambi, quasi che noi ci sentissimo inevitabilmente attratti dall’oriente e l’oriente subisse il fascino per l’occidente.
Facendo in questo modo perdiamo le nostre tradizioni? Manchiamo di rispetto? Siamo forse irrispettosi nel nostro voler abbracciare una fede o uno stile di vita che non fa parte della nostra cultura? Non penso. Essere nati in occidente o in oriente non ci preclude la possibilità di avvicinarci a un’altra cultura, farla nostra, senza allo stesso tempo rinnegare la cultura che ci ha segnati con la nascita.
Questo cercare a tutti i costi l’altro, il diverso, ciò che non siamo ma vorremmo essere è una fuga dal nostro contesto culturale? È una forma di sperimentazione? È globalizzazione? È una perdita di valori? Dobbiamo sentirci in colpa se vogliamo fare nostra un’altra cultura? Secondo me non lo è.
Mi viene una spiegazione più affascinante: forse siamo, entrambe le culture, inevitabilmente attratte l’una dall’altra perché complementari e sorelle, con la voglia e la spinta naturale a cercare l’altra metà della mela.
Quello che scrivi alla fine è verissimo. Ma penso che entrambi abbiamo qualcosa da perdere, nell'avvicinarci. Forse qualcosa di più da perdere lo ha l'oriente (come sostenevano, con qualche eccesso, Tiziano Terzani e Pico Iyer), perché avendo una modernizzazione più recente non ha ancora perduto molta della sua cultura tradizionale che da noi invece appare più sbiadita.
Detto questo il tuo capitare in una festa di questo tipo sarebbe stato un po' come finire a un raduno di cosplayer in Italia o a un festival di tai chi e medicina cinese sempre in Italia, per dire… 🙂
Hai ragione Patrick, forse ne ho dato una lettura troppo romantica. In effetti qualcosa si perde e come giustamente dici tu sono gli orientali a perderci di più. Dici forse che sarebbe meglio che ognuno rimanesse ai propri posti?