Chiang Mai e Chiang Rai le avevo messe in conto, s’intende, ma questa Chiang Dao da che parte è saltata fuori? Bella domanda. Chiang Dao è uno di quei posti che appena ne ho letto sulla guida mi ha fatto subito simpatia. E come sempre succede in questi casi, una volta che avverto che la scintilla è scattata, so che devo andarci, ormai mi son fissata. Ero a Chiang Mai e avevo ancora qualche giorno a disposizione prima della scadenza del visto e prima di spostarmi verso il Laos, quindi potevo tranquillamente fare qualche tappa nella provincia di Chiang Mai. Mae-Hong Son? Pai? No, Chiang Dao.
Chiang Dao si trova 72 km a nord di Chiang Mai, immerso tra giungle e pareti calcaree, dove svetta un mitico doi, il Doi Chiang Dao, la montagna calcarea più alta della Thailandia, che ospita anche una grotta-santuario molto frequentata dai fedeli. Chiang Dao è il posto adatto per fare trekking, perdersi nel verde e concedersi una parentesi di relax dopo il dolce trambusto di Chiang Mai.
Arrivarci è stato facile. Io e i miei zaini ci siamo diretti alla stazione degli autobus di Chang Pheuak, a Chiang Mai, dove partono gli autobus pubblici diretti a Chiang Dao. Stretti in quattro su un sedile, il bus stipato come pochi, con il ragazzo seduto accanto a me che ha ciondolato dal sonno sulla mia spalla per tutto il tempo, sono arrivata a destinazione in un’ora e mezza. La strada scorre liscia e senza intoppi. Il bus mi lascia lungo la strada principale ma la mia guesthouse – il Chiang Dao Hut – è sulla strada che porta alle grotte, a circa 5 km di distanza. Con i miei zaini non ce la posso fare quindi mi arrendo a prendere un sorng-taa-ou (il taxi collettivo locale) che mi costa l’esorbitante cifra di 150 baht (qualcosa come 4 euro), un’enormità rispetto a quello che ho pagato per i trasporti in Thailandia fino a quel momento (e resterà uno dei trasporti più cari di tutto il mio viaggio, senza che io ne abbia trovato la spiegazione).
Il mio bungalow è tutto in bambù e in legno e più di una stanza sembra un nido; ha una veranda carinissima che dà su un giardino che più verde non si può. Volevo un po’ di pace e relax? Li ho trovati. Intorno si sentono solo gli uccelli cinguettare; dalle montagne lì accanto arriva qualche verso animale non meglio identificato. Bene, sono nel mio habitat. La mia voglia di trekking viene presto delusa (uno degli inconvenienti del viaggiare soli: se vuoi fare un’escursione e non c’è nessun’altro già iscritto non ne fai nulla) così vado in esplorazione del circondario. Uscendo dalla mia guesthouse e girando a destra si raggiunge facilmente la Tham Chiang Dao, la grotta-santuario che è l’attrazione principale di Chiang Dao. In totale le grotte sono quattro – la prima visitabile in modo autonomo perché ben illuminata, le altre tre solo se accompagnati da una guida – e si dice si estendano per più di 10 km nella pancia della montagna. Come spesso succede anche qui le grotte custodiscono in diversi punti statue del Buddha e soggetti religiosi: la grotta è una famosa meta di pellegrinaggio buddhista.
Il Tham Chiang Dao si rivela un vero spasso di posto. Non ci sono solo le grotte, ma anche templi, statue del Buddha disseminate sui fianchi della montagna, soggetti a tema religioso e dal gusto tipicamente thai (leggi: un po’ kitsch). All’entrata della grotta (ingresso 20 baht) c’è un grande stagno in cui nuotano carpe e pesci gatto giganti a cui si può dare da mangiare (il cibo è in vendita a 10 baht), un gesto tipicamente buddhista considerato un modo per acquistare meriti di fronte alla divinità. Compro anche io il mio sacchettino di cibo per i pesci ma farli mangiare è una disperazione: sono già sazi o qualche entità superiore non vuole che io acquisti meriti?
Uscendo noto vicino al parcheggio un mercato insolito: ci sono delle bancarelle che vendono zenzero, radici ed erbe medicinali che provengono dai boschi della zona. Tutto intorno ristoranti alla buona, spartani ma economici, in cui mi fermo per pranzo. A pochi metri da lì, lungo la strada principale, il giorno dopo mi imbatto in un posto curioso, il Bamboo Mountain Coffee House, un bar ristorante gestito da Cash, un americano che vive a Chiang Dao da un sacco di anni, e da sua moglie Fon, con cui è un piacere restare a chiacchierare. Fon mi prepara la tipica insalata di papaya thailandese: mentre mi asciugo i lacrimoni mi racconta che la ricetta tradizionale prevede 9 peperoncini, ma che nella mia insalata ne ha messi solo due… (sono in Thailandia solo da una ventina di giorni, forse sono ancora in tempo per migliorare).
Salendo la strada principale dopo le grotte si raggiunge un luogo particolarmente mistico: il Samnak Song Tham Pha Plong, un centro monastico dove periodicamente i monaci buddhisti si ritirano in meditazione. Salgo la scalinata, lunga e ripida, e raggiungo la vetta di un tempio molto particolare, incorniciato tra la foresta da cui fa capolino il suo chedi dorato e dei possenti naga (i draghi della simbologia buddhista).
Dall’alto del tempio si raggiungono con lo sguardo tutti i boschi circostanti e si intravede la pianura, lontana e fumosa. L’atmosfera è silenziosa e raccolta. C’è chi prega raccolto in un angolo, ci sono i monaci che passano imperturbabili con le loro vesti svolazzanti, scope in mano a spazzare i gradini, c’è qualche turista thailandese che mi chiede di fare uno scatto di fronte alla statue dorate del Buddha. Non faccio fatica a capire perché i monaci vengono a meditare qui. Dall’alto del Tham Pha Plong me ne sto a contemplare la natura e dentro di me sorrido, felice di essere arrivata fino a qui solo grazie a una semplice ispirazione.