Il mondo si divide in due. C’è chi parte (o forse dovrei dire “va in vacanza?”) e dopo un po’ sente il bisogno impellente di tornare, perché la nostalgia di casa si fa sentire. Poi c’è invece chi deve partire (per un viaggio, non per una vacanza!) e quando è via la nostalgia di casa non la conosce; anzi, appena torna già pensa al prossimo viaggio da organizzare.
Cosa c’è di diverso? In fondo è diverso solo il significato della parola casa.
Quando mio cugino Bruno mi ha raccontato che ama sì viaggiare, ma che dopo un po’ deve tornare perché la sua città – Parigi – gli manca troppo (“Io amo la mia città!”), mi sono sentita in colpa. Anche io amo la mia città e ogni volta che mi trovo a passeggio tra le sue vie o su e giù per i suoi colli il mio amore si alimenta, è come se tornassi a innamoramene ogni volta. Ma io non posso restare solo qui! Io devo andare!
Perché quando sono lontana non sento la nostalgia della mia città? Cosa c’è in me che non va? Significa che non l’amo abbastanza? Che rinnego le mie radici?
Ci ho pensato un attimo, ho fatto un esamino di coscienza e mi sono risposta da sola: no, non è così. Io non rinnego le mie radici, mi sento parte di una realtà più grande. Io è qui che sono nata ma sento che la mia casa è il mondo. Sia che sia un viaggio vicino casa o un volo intercontinentale, io quando arrivo a destinazione mi sento a mio agio, non mi sento un pesce fuor d’acqua. Mi sento a casa.
Mi viene spontaneo adattarmi in fretta al nuovo luogo in cui mi trovo e mi sento bene lì come mi sento bene nel giardino di casa mia. Ma una cosa non esclude l’altra, anzi, una ingloba l’altra e sono entrambe sullo stesso piano.
Non mi mancano le pantofole (che quelle al massimo me le posso anche portare con me). Se proprio sento qualche privazione mi concedo qualche coccola e dopo poco anche qualche parvenza di nostalgia passa. Può capitare che ci siano destinazioni in cui mi sento meno a mio agio di altre, può capitare che a un certo punto, a sprazzi, sento anche la nostalgia di casa (in rari casi è capitato), ma non è la norma.
Forse parlando di nostalgia di casa, si intende anche la nostalgia della rassicurante routine di tutti i giorni, del rituale delle cose che si sa fare a memoria, degli automatismi della quotidianità, o del non dover cercare, del non doversi sforzare o applicare per organizzarsi e cambiare. Forse ha a che fare anche con la paura del cambiamento?
Certo, è più facile essere tra le proprie quattro mura e sapere che la soluzione è in quel cassetto, che basta aprire il frigorifero per mangiare, basta girare l’angolo per trovare il negozio di fiducia, che mappe e navigatori non servono perché si conoscono tutte le vie a occhi chiusi. Forse è l’abitudine, la routine dello stesso tratto casa-lavoro che manca, che rassicura, che dà sicurezza. Meglio la strada vecchia di quella nuova?
Io dico che è meglio un mix. Mischiare vecchio e nuovo, routine e cambiamento, ma non avere paura di cambiare se si vuole.
Forse per me casa è il mondo.
Forse c’è davvero chi si sente più o meno nomade e chi si sente (o è) più o meno stanziale. (Io mi sento e mi considero una nomade, ma quello penso si fosse già capito). Attenzione, son sto dicendo che essere nomadi sia meglio di essere stanziali o pantofolai, assolutamente no. Dico solo che ci sono delle sensazioni di fondo diverse, un’ottica differente sul mondo, un modo di essere e pensare in contrasto ma con cui è interessante confrontarsi. Abbiamo opinioni diverse, siamo diversi, e questo è il bello.