C’è qualcosa di emozionante e prodigioso nell’attraversare le frontiere a piedi, qualcosa che nessun aeroporto o scalo internazionale può uguagliare.
Puoi dover attendere minuti o anche ore, sganciare la mancia all’ufficiale di turno e protestare, ma tanto è così che funziona, sudare freddo in attesa un timbro o di un visto, perdere la pazienza o la bussola, ma ne vale sempre la pena. Attraversando le frontiere a piedi nel Sud-Est Asiatico ne ho avuto la conferma.
Sarà che a me il concetto di frontiera mi ha sempre elettrizzata e anche solo sconfinare in Svizzera o in Slovenia mi manda su di giri, ancora adesso, anche se sono a due passi da casa, anche se sono frontiere ormai in disuso, anche se nessuno ti controlla niente. Eppure l’istante preciso in cui lasci un paese per entrare in un altro e nel giro di pochi metri cambiano i cartelli e cambiano i nomi delle strade, le case e gli accenti delle persone, beh, mi fa sentire i brividi.
Forse perché quello sconfinare via terra è la chiara presa di coscienza che sei ufficialmente in viaggio, che ti stai muovendo, stai attraversando un pezzetto di mondo, ti stai lanciando alla scoperta del nuovo, dell’altro, del diverso. Troppo facile arrivarci con un volo internazionale, con un uccello di ferro che ti catapulta lì, senza neanche farti capire dove sei e attraverso cosa sei passato. Attraversare le frontiere via terra è tutta un’altra storia.
Vuoi mettere scendere da un bus traballante, mescolarti con gente di ogni dove, cariche di pacchi e pacchetti, allungare il passaporto che ha sete di nuovi timbri, attraversare strisce di terra di nessuno, entrare in un nuovo paese con le tue gambe (sperando che il bus sgangherato sia là ad aspettarti)? Vuoi mettere l’ebbrezza di fare tutto da sola, senza nessuno che ti spieghi o ti dica (o ti sappia parlare almeno in inglese)? Le cose che ti possono capitare attraversando una frontiera a piedi finiscono dritte dritte nei tuoi più bei ricordi di viaggio e nel tuo curriculum di viaggiatore o viaggiatrice.
La mia prima frontiera a piedi in terra d’Asia è stata a Poipet, al confine tra Cambogia e Thailandia, il punto di passaggio prediletto tra chi si sposta via terra tra questi due paesi: mi ricordo ancora bene il caos, la folla, le file lunghissime ad aspettare un timbro che sembrava non dovesse arrivare mai e la vecchina che tirava un carretto stracolmo di bagagli, tra cui il mio, e io che la guardavo perplessa e quasi affondata dal senso di colpa.
Poi dopo un paio di anni è arrivata la frontiera di Chiang Khong- Huay Xai, al confine tra Thailandia e Laos, che aspettavo di attraversare con trepidazione già pregustando il momento in cui sarei arrivata in Laos in barca. Aspettative che sono state pesantemente deluse nel momento in cui ho scoperto che i cinesi nel frattempo hanno fatto costruire un mastodontico ponte e la frontiera la si attraversa su un pullman di linea (senza parole!).
Mi sono comunque rifatta con un bel carico di emozioni alla frontiera di Na Meo – Nam Xoi, quando ho lasciato il Laos del nord per andare in Vietnam: solo io e altri due ragazzi gli unici stranieri, su un affollato pulmino diretto a Than Hoa, nel nord del Vietnam. Il viaggio è durato una giornata intera, tra strade di fango, tornanti a non finire e villaggi tra le montagne, i miei compagni di viaggio vietnamiti che mi insegnano le prime parole di lingua viet. Lungo una salita il nostro mezzo resta impantanato; si forma presto un capannello di persone intorno a noi, ad assistere la scena e incitare l’autista che dopo vari tentativi finalmente ce la fa: ci rimettiamo in viaggio.
Al checkpoint laotiano mi fanno storie e devo spiegargli due volte che il mio visto laotiano non è scaduto ma che alla pagina successiva c’è in bella vista l’estensione, chiesta qualche giorno prima a Vientiane. Qualcuno mi chiede in prestito la penna e noto lo smarrimento di chi deve compilare dei moduli ma forse non sa cosa scrivere (ma sa scrivere?).
Una striscia di terra di nessuno separa i due checkpoint. Nel mezzo una strada asfaltata, circondata da una vegetazione fittissima, in fondo la bandiera vietnamita che sventola nell’aria, io che mi giro a guardare quella laotiana e per un attimo ho quasi la tentazione di correre indietro, tornare in quel paese che ormai ho cominciato a chiamare “casa”. E poi i dubbi: ma il pulmino dove è finito? Perché non lo vedo più? Sarà ad aspettarmi dall’altra parte, al checkpoint vietnamita? (sì, è lì).
Attraversare le frontiere a piedi non è sempre semplice e questa cosa l’ho imparata soprattutto a Chau Doc, nel sud del Vietnam, al confine con la Cambogia. La cosa bella è che da Chau Doc si può prendere una barca che in circa otto ore ti porta direttamente nel cuore di Phnom Penh, la capitale cambogiana, navigando lungo il Mekong e dandoti il tempo di godere di tutta la sua bellezza.
Il problema però è che Vinh Xuong- Kaam Samnor, così si chiama questo posto di confine, è una frontiera complicata. Punto primo: per arrivarci si deve acquistare un biglietto presso un’agenzia di Chau Doc (io l’ho pagato 15 dollari). Punto secondo: non è possibile sbrigare da soli le pratiche alla frontiera; si deve consegnare il passaporto alla guida che vi accompagnerà durante lo spostamento in barca, che consegna i documenti agli ufficiali e raccoglie i soldi per il disbrigo delle pratiche, ovviamente facendo una bella cresta per sè. Volete provare a consegnare voi il vostro passaporto? Io ci ho provato, ma non ci sono riuscita. Non solo; il caro ragazzo al nostro seguito mi ha pure accusata di avergli dato un resto sbagliato e ha continuato a pretendere che io gli dessi altri soldi tenendo in ostaggio il mio passaporto.
Passo dei brutti quindici minuti, ma mi dimostro inflessibile e caparbia e alla fine posso riabbracciare il mio passaporto senza problemi (e senza sganciare altri soldi). Appena raggiunto il check-point cambogiano la nostra pseudo-guida ovviamente si è dileguata, senza dirci nulla e senza nemmeno salutarci, non senza prima chiedermi di fare una foto con lui (certo, come no!).
Attraversare la frontiere a piedi è emozionante anche per questo. Non puoi mai sapere cosa ti accade, gli inghippi sono sempre dietro l’angolo, e a queste latitudini è ahimè frequente trovare qualcuno che ti chieda la mazzetta o che cerca di fare la cresta. Del resto non c’è nessuno che controlla, sei tu e i funzionari (corrotti) nel bel mezzo del nulla; puoi forse fare altro? Ma anche questo fa parte del gioco.
Se pensavo di aver visto tutto quel giorno alla frontiera di Chau Doc, mi son dovuta ricredere dopo un mesetto, alla frontiera tra la Cambogia e il Laos. Il pulmino ha scaricato me e altri due ragazzi alla frontiera di Trapaeng Kriel/Dong Kalaw, dove abbiamo compilato i moduli e pagato il visto (oltre a una piccola mancia di 2 dollari per i funzionari laotiani e per quelli cambogiani). Quindi l’attesa, che si è protratta per un paio di ore prima che vedessimo comparire il nostro minivan dal lato laotiano. Con me una ragazza tedesca e un ragazzo svizzero con chitarra al seguito: grazie a lui e alla sua musica abbiamo ingannato l’attesa.
Tra le cose più belle del viaggiare via terra, attraversare le frontiere a piedi è sicuramente ai primi posti. Emozioni forti, ricordi indelebili.
Ciao Claudia, in merito a come entrare in Vietnam dalla Cambogia, ne sai niente sulla frontiera di Ha Tien?
Grazie ancora!!!
Purtroppo no, non sono mai entrata da lì!
Vero! È sempre emozionante attraversare le frontiere via terra. Mi è capitato su un autobus sgangherato di attraversare 2volte la frontiera tra Vietnam e Cambogia a Bavet.
Già il fatto di essere stato l’unico occidantale sull’autobus era un esperienza.
Segnalo che sull’autobus la pseudo guida ritira i passaporti per consegnarli alle autorità (questo per il timbro di uscita), là funziona così e quindi è del tutto normale. Certo che se uno non lo sa può creare confusione in quanto la pseudo guida non parla inglese. In quell’occasione, sull’autobus ho conosciuto un viaggiatore giapponese che mi diceva che in giappone tutto è perfetto e ne sono molto orgogliosi di questo.
Un momento di smarrimento è quando le autorità chiamano ad alta voce le persone per restituire i passaporti, ovviamente non aspettatevi leggano correttamente il vostro nome e poi c’è un brusio della gente che parla attorno a voi.
Per il visto per la cambogia io consiglio e-visa. (Io ho fatto così). Lo so che è meno romantico ma si evitano storie,cresta alla pseudo guida, mance,ecc…
La cambogia da questo punto di vista è abbastanza avanti e permette di fare il visto turistico online. Si entra nel sito ufficiale (attenzione ai siti truffa, usare solo quello ufficiale), si carica una foto, si compila la scheda con i dati anagrafici e n. passaporto,si paga con carta di credito e tempo 3/4 giorni avrete il vostro visto via email.
Si stampa e alla frontiera cambogiana si consegna all’apposito counter risparmiando tempo.
Spero di aver dato un consiglio utile.
Grazie Stefano per la tua testimonianza! Dici giusto usando il termine “pseudoguida”, bisogna togliere la diffidenza e fidarsi 😀 solo stando attenti che queste pseudoguide non ti chiedano in cambio una mancia (a me è capitato alla frontiera tra Vietnam e Cambogia via fiume). Per l’e-visa sono d’accordo! Quando c’è questa modalità meglio approfittarne sempre.