Dici Vietnam e subito viene in mente lei, che con i suoi edifici coloniali, i suoi musei e il suo passato di grande porto commerciale si è guadagnata il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco: è Hoi An, la tappa immancabile in ogni itinerario di viaggio in Vietnam.
Tutti lodano Hoi An, ne decantano il fascino, i suoi colori, le sue botteghe; tutti ne restano rapiti. E hanno ragione, perché Hoi An è davvero molto fotogenica. Ma – posso dirlo? – a me ha lasciato un po’ perplessa.
Ho rimandato questo post per troppo tempo e forse è ora di parlarne. Finora non avevo ancora affrontato di petto Hoi An, l’avevo toccata solo di striscio, raccontando un’esperienza in città che mi aveva letteralmente conquistata ma nulla di più. Invece ora mi va di parlarne. Di raccontare le mie sensazioni.
Non aspettatevi un post mieloso o inneggiante alle bellezze di Hoi An; non lo sarà. Con questo non voglio dire: non andateci. Anzi. Ad Hoi An dovete andarci perché la città sicuramente merita una visita. Ma non prendete tutto quello che vedrete come realtà.
Questo post non è un elogio di Hoi An, ma vuole essere lo spunto per una riflessione più globale, in particolare per affrontare un tema delicato e non facile da affrontare: gli effetti negativi del turismo e gli occhi con cui i viaggiatori guardano ai luoghi. Quando si può dire che un posto è ancora autentico (parola forse un po’ azzardata) o che invece, è caduto miseramente nelle grinfie del turismo di massa diventando qualcosa di finto?
La questione è complicata (e forse mi sto tirando la zappa sui piedi); forse al giorno d’oggi di autentico è rimasto ben poco (o forse qualcosa c’è ancora?) e siamo noi a non doverci lanciare in sentenze e facili classificazioni.
Quello che ho visto io, arrivando a Hoi An, non mi è piaciuto molto, ma forse dipende anche dalla situazione in cui ci si trova. Le situazioni sono due:
- Si arriva in Vietnam per un tour classico: una tappa a Hoi An non può di certo mancare. Hoi An è viva, colorata, c’è molto da fare e da vedere e a prima vista la città appare esaltante;
- Si arriva a Hoi An dopo aver perlustrato anche qualcosa al di fuori delle mete più classiche del Vietnam (avendo tempo e modo): in questo caso Hoi An può apparire sì bella, ma molto “costruita a misura di turista”.
Io mi sono trovata nella seconda situazione e l’impressione è stata quella di trovarmi in una specie di Gardaland: una città che è un’esplosione di colori e di gente, ma che secondo me è oggi lontana anni luce dai tempi in cui veniva chiamata Faifo ed era uno dei porti commerciali più importanti di tutta l’Asia. La città vecchia mi è parsa essenzialmente un susseguirsi di negozi di souvenir, hotel di charme e ristoranti (anche abbastanza cari rispetto alla media del paese) inframezzata sì di templi e musei interessanti, ma – come si dice, usando un termine molto abusato- parecchio turistica.
Così come a Gardaland, anche per visitare Hoi An e le sue attrazioni ci vuole un biglietto. Per visitare il centro storico si deve acquistare un biglietto di ingresso che costa 120.000 dong (circa 5 euro) e che consente di visitare cinque edifici storici a scelta tra vecchie case-bottega, templi, pagode e musei più o meno interessanti. Gli edifici visitabili sono molti di più quindi è necessario fare una scelta (in base ai propri gusti personali) oppure acquistare più biglietti di ingresso (e il prezzo sale..). La gente fa la fila per farsi immortalare sul famoso ponte coperto della città, il Ponte Giapponese. I turisti si lasciano coinvolgere in tour a piedi o in bicicletta e vanno per la maggiore cooking class, scuole di cucina.
Ma ci sono anche delle belle notizie. La prima è che Hoi An è molto fotogenica. Chi ama fotografare qui ha da sbizzarrirsi. Le sue case colorate, i negozi dei sarti tradizionali (Hoi An è famosa per questo: se volete potete anche farvi realizzare un vestito su misura), lo spettacolo delle lanterne sul lungofiume la sera, i festoni da colori accesi.. è uno spettacolo per gli occhi. E se saprete spulciare bene riuscirete a scovare anche qualche negozietto forse frequentato anche dai locali (forse) e non costruito ad hoc per i turisti.
Altra bella notizia: a Hoi An la maggior parte degli hotel mettono a disposizione dei clienti le bici. La bici è il modo perfetto per spostarsi da una parte all’altra della città. La città vecchia è infatti chiusa al traffico e stando attenti a scansare le orde di turisti che invadono le sue strade, è comodo visitarla sulle due ruote.
Grazie alla bici scopro presto che basta fare pochi metri fuori dal centro e attraversare il ponte per trovarsi a tu per tu con un’altra Hoi An, fatta di casupole tranquille, villaggi umili, dove la vita vera scorre indisturbata e dove si vedono stesi al sole i fogli di rice-paper, la carta di riso usata per fare i mitici spring roll, gli involtini primavera.
Sempre con la bici decido di avventurarmi a nord, per andare a dare una sbirciatina alle spiagge. Basta fare qualche chilometro e si raggiunge il mare dove si trovano alcune belle spiagge di sabbia dorata: è febbraio quindi non fa ancora abbastanza caldo per fare vita da spiaggia ma una deviazione qui è un piacevole diversivo per sfuggire per qualche ora al chiasso del centro città.
Ma c’è anche un’altra cosa da fare in città: andare a visitare My Tho.
My Tho è la maggiore e meglio conservata testimonianza del Regno di Champa, e si trova a 55 km da Hoi An, in una vallata ammantata di foreste e ruscelli su cui veglia la Hon Quap, la Montagna del Dente di Gatto.
Costruita alla fine del IV secolo e abitata fino al XIII secolo (è stata la civiltà più duratura del Sud-Est Asiatico), My Tho è una piccola Angkor che la ricorda molto nello stile (molto simile a quello khmer). Il sito si divide in sei sezioni di cui le prime tre (A, B e C) sono le più estese e interessanti. Le visite organizzate durano in genere mezza giornata, si svolgono in bus con, per chi vuole il rientro in barca, con sosta presso le bancarelle di alcuni villaggi e in alcuni laboratori artigiani.
Ci penso molto, ultimamente. Mi interrogo sul senso del viaggio. L’aumento progressivo del turismo ha modificato molti posti. E’ una specie di principio di indeterminazione di Heisenberg applicato al viaggio: l’osservatore modifica l’osservato, è inevitabile. Specie dove porta la prospettiva di miglioramento economica. E così non è facile trovare qualcosa di davvero ‘autentico’, parola che fra l’altro mi suono un po’ strana, perché abusata, perché spesso un po’ fasulla.
Io non sono stato a Hoi Han, ma ne ho sentito parlare. Questo post riecheggia un po’ quello che avevi scritto di Luang Prabang (ne scriveva amcje Adventurous Kate http://www.adventurouskate.com/the-most-overrated-places-in-southeast-asia/) e ci avevo pensato molto. Ho provato a immaginare un paragone con l’Italia: Firenze, Venezia sono città in qualche modo ostaggio del turismo, dei negozi di maschere e di riproduzioni dozzinali del David, ma allo stesso tempo anche noi italiani che sappiamo distinguere i vari aspetti riconosciamo a queste città una bellezza, un’atmosfera unica e che non sono paragonabili ad altri luoghi. Questo è autentico e non mi stanco di andarci: Venezia è una delle mie città preferite al mondo e ci torno tutte le volte che è possibile. Mi basta esserci, a volte. Ed è questo, la stessa sensazione di bellezza e unicità che ho ritrovato in parte a Luang Prabang per quanto minacciata (e fra l’altro, forse anche un secolo fa era una città più raffinata del resteo del ruspante Laos) e credo che questa sia autentica.
Ecco, credo che nello stesso modo in questi posti così frequentati dovremmo rinunciare a priori a cercare un’autenticità locale, abbassare le aspettative, accettare la presenza del turismo, e cercare di cogliere quello che è rimasto, dell’atmosfera unica e ‘autentica’ di questi luoghi.
Vero, avevo detto la stessa cosa anche di Luang Prabang (il turismo a Hoi An è molto peggio che a LP). Lo so, sono antipatica, ma il mio non vuole essere un modo per dire alle persone “Non andateci”. Anzi. Solo che vorrei che le persone si accorgessero quando un posto è costruito a misura di turista, perché a volte mi sembra proprio non si accorgano. Insomma, un’esortazione a cercare di vedere anche altro (se ne hanno la possibilità) e a non pensare “Ah ok, allora il Vietnam è così”. Una questione spinosa da affrontare in un solo post. Come dici tu, l’importante è riflettere su questa cosa. Almeno ogni tanto.
Grazie per il tuo commento Patrick!
Preciso, non ti trovo ‘antipatica’! Anzi, al contrario sono pensieri che faccio anche io (e proprio su LP ne avevo scritto, citando anche Terzani che lo aveva prefigurato decenni fa) e l’argomento mi interessa molto.
Sai, avrei potuto anche scrivere il classico post di elogio che scrivono tutti su Hoi An, ma come sempre preferisco dire quello che penso 😀
L’argomento fa molto riflettere anche me
Ho visitato quest’estate Hoi An,prendendo il bus(piuttosto sgangherato ma comunque dotato di aria condizionata) da Da Nang, la strada per arrivarci è accettabile. Il bus ti lascia a qualche chilometro dalla citta, poi sei costretto a prendere un taxi o salire sopra uno scooter(sempre a pagamento) che ti porterà nella cittadina. Al di là di quello che si racconta sul web(cose mirabolanti, paesaggi incredibili),la cittadina vietata al traffico automobilistico, la puoi girare in brevissimo tempo,un’ora basta e avanza. Somiglia anche se in formato ridotto a Carcassonne, cittadina del sud della Francia, completamente artificiale. I negozi vendono tutte le stesse cose che troverai in qualsiasi posto dell’Asia ma a prezzi molto ma molto più bassi.Lo stesso dicasi per i ristoranti con prezzi rivolti soprattutto ai turisti. In sostanza una visita può andar bene se si è di passaggio ma fermarsi più di un giorno sarà tempo sprecato.(Visitata ad Agosto 2016 con un’afa soffocante).
Ciao Mario,
sono assolutamente d’accordo con te: Hoi An è decisamente troppo turistica e sopravvalutata. Io ci sono quasi scappata 😀