Il posto migliore da cui iniziare un viaggio alla scoperta del Myanmar? Per me non può che essere Yangon, la vecchia Rangoon, ex capitale della Birmania, la città più grande e più rappresentativa della storia del paese.
Grande e vivace, multietnica e dinamica, ma nei limiti, tuttora pervasa di fascino coloniale e testimone di un passato sanguinario, ma che si sta aprendo a un fulgido futuro, Yangon è la perfetta introduzione alla cultura birmana e punto di partenza ideale per un itinerario di viaggio in Myanmar.
Il mio consiglio è quello di dedicarci almeno un paio di giorni (ma se potete anche di più). Cosa aspettarsi da Yangon? Ve lo spiego subito.
La vecchia Rangoon
Il poeta Pablo Neruda, che visse a Yangon per un periodo ricoprendo l’incarico di console onorario del Cile, descrisse Yangon come “Una città di sangue, sogni e oro”. A quel tempo, alla fine degli anni ’20, Rangoon (gli inglesi l’avevano ribattezzata in questo modo storpiando il nome originale Yangon), era un melting pot di genti e comunità da tutto il mondo. In un miscuglio soprattutto di indiani, ma anche di cinesi, americani ed europei, dove i birmani erano poco più che una minoranza, la città superava New York in quanto a centro di immigrazione.
L’architettura coloniale della città lascia ancora intuire i fasti di quel tempo, quando Yangon era punto di sosta obbligato per le navi mercantili in transito nella regione e importante fulcro dell’impero britannico, frequentata da personaggi come Kipling, Huxley e H.G.Wells. Fu proprio da Yangon, agli inizi del XX secolo, che prese forza il movimento indipendentista, che portò all’indipendenza del paese nel 1948.
Yangon porta su di sé ancora traccia di tutto questo. Anche se dal 2005 non è più capitale del paese (sostituita da Nay Pyi Taw, una stravagante città costruita ad hoc dal regime militare), l’aria che si respira in città sa di storia, di cambiamento e racconta di un passato che non è ancora del tutto finito.
Punto di partenza: China Town
Arrivata con un volo Air Asia da Bangkok, trovarmi catapultata nel cuore della vecchia Yangon è stato un piccolo shock. La città mi ha colpito fin da subito e in modo del tutto particolare: le colorate case scrostate dal tempo, le bancarelle di venditori che friggono cibo di ogni tipo, le guance spalmate di tanaka, i negozi cinesi che si mischiano a quelli indiani, le persone che indossano indistintamente, uomini e donne, meravigliosi e colorati longyii… La prima impressione è stata quella di aver fatto un salto temporale all’indietro, in una dimensione in cui gli Starbucks e i MacDonald non esistono ancora o non sono (per fortuna) ancora arrivati.
Le mie prime impressioni di Birmania sono state quelle di un posto che per certi versi porta con sé elementi già trovati nel resto del Sud-est asiatico, con tratti comuni e condivisi, ma anche di elementi nuovi, mai riscontrati prima. La Birmania custodisce in sé qualcosa di prezioso: le tradizioni e le in-contaminazioni del mondo globalizzato.
Il punto di partenza ideale in fare conoscenza della città è China Town, la zona compresa all’incirca tra la 19th e la 20th strada e Anawrahta Road, particolarmente vivace e interessante dal punto di vista sensoriale. Qui è l’ideale per fermarsi a pranzo in qualche ristorante sul ciglio della strada, ma qui è soprattutto obbligo fermarsi la sera quando la zona si anima grazie a vari ristoranti che propongono spiedini di carne, pesce, tofu alla griglia, fritture e altre leccornie tipiche della cucina birmana.
China Town è il posto ideale per concedersi un itinerario a piedi, col naso all’insù per guardare i vecchi palazzi coloniali, e perdersi tra tempi buddhisti, sinaogoghe, chiese e templi hindu. Cammina cammina io sono arrivata fino alla Sule Paya, uno stupa dorato vecchio di 2.000 anni che oggi si trova nel bel mezzo di una rotonda spartitraffico (questa Yangon è davvero insolita!). Da lì la mia esplorazione di Yangon prosegue verso la Shwedagon Paya, uno dei siti sacri più importanti di tutto il Myanmar.
Tappa obbligata: la Shwedagon Paya
Se avete poche ore da passare in città, ritagliatevi del tempo per andare alla Shwedagon Paya, uno stupa considerato tra i siti sacri più importanti di tutto il buddhismo. Il sito è un vero e proprio luogo di pellegrinaggio che richiama fedeli da tutto il paese e turisti.
Secondo la leggenda lo stupa esiste sulla collina di Singuttara da 2.600 anni, quando due fratelli decisero di custodire otto capelli ricevuti dal Buddha in persona. In realtà secondo gli archeologici fu costruito in un periodo compreso tra il VI e il X secolo e ricostruito parecchie volte in seguito ai terremoti e nel XV si iniziò la tradizione di rivestirlo in foglie d’oro.
Oggi è un luogo sacro che emana un fascino sublime, soprattutto sul fare del tramonto, quando l’oro dello zedi, la punta sacra, si accende di colori sfavillanti: l’oro che contrasta con l’azzurro del cielo e le sfumature calde del tramonto creano uno scenario davvero suggestivo.
Il tramonto è il momento più suggestivo e più indicato per recarsi in visita della Shwedagon Paya, ma ovviamente è il momento più frequentato da pellegrini e turisti: per essere sicuri di trovare meno gente o per scappare al caldo (tra dicembre e gennaio, quando ci sono stata io, non fa troppo caldo) potete andarci all’alba.
La Shwedagon Paya (dove “paya” significa pagoda) è leggermente fuori dal centro della città; il modo migliore per arrivarci è il taxi, che a Yangon sono molto economici (ma ricordatevi sempre di contrattare il prezzo prima).
I laghi cittadini
A Yangon ci sono due laghi: il Lago Inya e il Lago Kandawgyi, entrambi bacini artificiali creati dagli inglesi alla fine dell’800, dei posti particolarmente piacevoli dove trascorrere qualche ora.
Prima di ripartire da Yangon ho deciso di trascorrere qualche ora sulle rive del Lago Inya, il lago più grande. Tra Inya Road e Pyay Road si trovano ruspanti ristoranti all’aperto in parte al lago, una passeggiata lungo-lago e un paio di parchi incredibilmente molto curati, dove imbattersi in una curiosa tradizione tutta made in Yangon, quella del “parco degli ombrelli” (uno analogo si trova anche lungo il Lago Kandawgyi): giovani coppie di adolescenti vengono a sedersi qui, sulle panchine lungo il lago, e portano con sé gli ombrelli, in teoria per ripararsi dal sole, ma in realtà per nascondersi dagli sguardi mentre si concedono qualche bacio rubato (ve l’ho già detto che i birmani sono dolcissimi?).
A poca distanza da qui, affacciata sul Lago Inya, si trova anche la casa dove San Suu Kyi trascorse i suoi anni agli arresti domiciliari.
Passare qualche ora al Lago Inya è una buona idea per risparmiare tempo: il lago si trova infatti all’incirca a metà strada tra il centro di Yangon e l’aeroporto (dal centro all’aeroporto sono circa 45 minuti di taxi, dal lago circa 20 minuti). Anche la stazione degli autobus si trova molto fuori dalla città (a 5 km dall’aeroporto) e questo è un dettaglio da non trascurare nell’organizzazione degli spostamenti (ricordatevi inoltre che a Yangon il traffico non manca).
Da Yangon l’ideale è proseguire verso un altro dei posti più sacri di tutta la Birmania: la Golden Rock. Ma di questo posto meraviglioso vi racconterò in un prossimo post.