La città di Mandalay me l’ero immaginata caotica, chiassosa e disordinata, e, se devo essere sincera, dopo i miei giorni di beatitudine sul Lago Inle e la mia tappa a Kalaw, fresca cittadina di montagna nel nord della Birmania, non avevo molta voglia di rituffarmi in una grande città. E, invece, mi sono dovuta ricredere.
Mandalay è la città più grande di tutto il Myanmar, dopo Yangon, e custodisce in sé un tesoro di pagode e siti sacri affascinanti, senza contare i molti siti che si possono visitare nei suoi dintorni. Andare a Mandalay è d’obbligo (e piacevole).
Mandalay alla fine mi è piaciuta e anche molto. Quasi nulla di quello che mi aspettavo si è rivelato reale. Mandalay è sì grande e trafficata, ma regala delle gran belle sorprese, che è possibile visitare anche in sella a una bici.
Arrivata in città con un bus notturno (uno sleeping-bus questa volta molto moderno e confortevole) da Kalaw, mi ritrovo alle 4 di mattina fuori dalla stazione ferroviaria di Mandalay a contrattare il passaggio di un moto-driver (anche se sono le 4 del mattino non è difficile trovarli, perché dove arriva un bus spunta subito qualche accorto driver pronto a elargire passaggi ai turisti). Il mio hotel (che ho prenotato un paio di giorni prima su Internet) è a un paio di chilometri fuori dal centro, ma è talmente bello e lo staff talmente gentile che sono quasi commossa, soprattutto quando accettano di darmi la camera con molte ore di anticipo rispetto all’orario abituale del check-in.
Dopo un paio di guesthouse e ostelli sgarrupati, potermi infilare in lenzuola fresche e profumate (spendendo comunque una cifra molto contenuta) mi sembra irreale. Dormo qualche ora. Quando mi sveglio approfitto della colazione abbondante inclusa nel prezzo della camera e decido di avventurarmi alla scoperta della città. Altra bella notizia: l’hotel mette a disposizione gratuitamente delle bici (questo hotel mi ha conquistata). Basta pedalare tutto dritto lungo la strada principale, la 19th Street, per arrivare direttamente alla biglietteria del Mandalay Reale, il palazzo reale di Mandalay.
La Mandalay Reale
Mandalay fu capitale del Regno Birmano fino all’occupazione britannica del 1885. Il palazzo reale, protetto da possenti mura circondate da un fossato, fu trasformato dagli inglesi in una cittadella militare (ahimè). Oggi il Palazzo Reale (con al suo interno, tra le altre cose, la sala del trono, la tomba del re Mindon, la torre di guardia), ricostruito in tempi recenti, è visitabile con il biglietto cumulativo per la Archaelogical Zone (costo 10.000 k) che vale anche per la visita al monastero di Shwenandaw, al sito di Inwa e un sito minore ad Amarapura (quindi meglio conservarlo). Per avere una bella visione della Mandalay Reale l’ideale è salire sulla torretta di guardia con la sua originale scala a spirale.
La bicicletta è perfetta per percorrere il lungo viale che porta al palazzo reale, anche se è obbligatorio scendere quando si attraversa la porta di accesso ed è possibile percorrere solo la via indicata (al di là dei giardini ci sono installazioni ed edifici militari).
Appena fuori dal palazzo reale, pedalando lungo il marciapiede che costeggia il fossato mi dirigo nell’angolo nord-orientale della Mandalay Reale. Qui si trovano alcune pagode degne di nota e molto piacevoli da visitare: la Kyauktawgyi Paya, che custodisce un’imponente statua del Buddha e ha delle belle sale esterne con piastrelle a specchio, la Sandamuni Paya, con i suoi solendidi zedi bianchi, e la bellissima Kuthodaw Paya, entrambe con stupa dorati al loro interno e centinaia di lastre di marmo che riportano trascrizioni dei Tripitaka, le scritture buddhiste. Con le sue 1.774 lastre di marmo la Sandamuni Paya viene spesso chiamata “il libro più grande del mondo”.
Riprendo la bici e mi intrufolo tra dei vicoli tranquilli fino ad arrivare a uno dei posti più speciali di tutta Mandalay: lo Shwenandaw Kyaung. Si tratta di un grande meraviglioso monastero costruito interamente in legno di teak e rivestito di splendide sculture in legno e in oro (al suo interno).
La Mandalay Hill
A Mandalay c’è un posto speciale dove conviene andare al tramonto: quel posto è la Mandalay Hill, la collina che si trova subito alle spalle del Palazzo Reale. Decido di andarci con un certo anticipo: scelta azzeccata, perché salire a piedi la scalinata richiede almeno trenta minuti. La salita sembra interminabile, tra rampe di scale, statue, bancarelle di cibo e souvenir e templi che occupano diversi livelli prima di raggiungere la cima della collina.
La salita, rigorosamente a piedi nudi (i calzini sono banditi), può risultare faticoso, almeno per chi, come noi occidentali, non è abituato a camminare così a lungo scalzo (ma la cosa più faticosa è sicuramente la discesa: i miei muscoli tremavano per lo sforzo e le sollecitazioni). Diverse le scalinate: le più utilizzate sono quelle sul versante meridionale della collina (riconoscibili dall’ingresso con due enormi statue di chinthe, le divinità metà leone e metà grifone).
I turisti che salgono a piedi sono relativamente pochi. I più preferiscono farsi dare un passaggio in macchina (ma guadagnarsi la cima a piedi ha tutto un altro significato). Dall’alto la vista spazia su tutta Mandalay e sul fiume Ayeyarwady, che scorre placido nella pianura. Affrontare la salita nel tardo pomeriggio significa mettere in conto di trovarsi insieme a un gran numero di persone (tutte attratte dal tramonto). Per rimediare all’inghippo si può decidere di fermarsi al penultimo livello del tempio, dove ci sono anche delle comode sedute e dove non c’è l’obbligo di pagare per fare foto (come invece succede nell’ultimo livello).
La parte più difficile resta comunque la discesa: se si sale e scende a piedi è importante non restare troppo a lungo dopo il tramonto perché a quelle latitudini il sole scende molto in fretta e il percorso non è illuminato (è utile portarsi una pila o una torcia da testa).
Shwe In Bin Kyaung e Mercato della Giada
La Lonely Planet lo segnala come “luogo da non perdere” e dalla descrizione già intuisco che è un posto che fa per me. Lo Shwe In Bin Kyaung è un monastero interamente in legno di teak finemente scolpito, costruito a fine ‘800, sostenuto da grossi pali ricavati da tronchi d’albero. Si trova in una zona un po’ defilata della città e qui i visitatori sono pochi. Simile al monastero in legno vicino al Palazzo Reale, lo Shwe In Bin è più intimo e raccolto e un po’ più abbandonato a se stesso.
Di strada per il monastero mi fermo al Mahamuni Paya, una pagoda molto frequentata dai locali per la presenza di un’imponente statua del Buddha tra le più famose del Myanmar. Grande e assai animata (anche da bancarelle e venditori lungo i corridoi di ingresso), la pagoda vale la visita anche per il suo cortile molto ampio e le decorazioni esterne. Consiglio di accedere dalla 84th Street così da poter veder i giovani artigiani che lavorano il marmo in strada.
Già che sono in zona faccio una capatina al famoso mercato della Giada, a poca distanza dal canale. Trovo però poche bancarelle e pochi venditori, e in generale il mercato poco interessante (ci sarebbe un ingresso di 1$ da pagare ma non c’è nessuno che vende biglietti e nessuno che controlla). Insomma, il mercato della giada è un po’ una delusione.
Per arrivare fin lì approfitto del passaggio di un taxi (che da queste parti sono molto convenienti), anche perché voglio ora raggiungere Amarapura, una località appena fuori Mandalay. Quella che fu la penultima capitale del Regno di Birmania oggi fa parte del sobborgo di Mandalay ed è famosa soprattutto per una cosa: l’U-Bein Bridge, il ponte in teak più lungo al mondo. Un ponte pedonale lungo 1.200 metri attraversa le acque del lago Taungthaman, in quello che è uno degli scorci più fotografati (e suggestivi) di tutto il Myanmar.
La mia giornata si conclude qui, ammirando uno dei tramonti più arancioni della mia vita. La mia tappa a Mandalay non però ancora finita. Domani mi aspetta la visita a Mingun, che visiterò in barca partendo da Mandalay. Ma questo ve lo racconto nel mio prossimo post!
Un articolo molto interessante! Grazie!
Mi fa piacere ti piaccia! Grazie! 🙂
Ciao Claudia. Quindi la tua permanenza descritta in quest’articolo è durata due giorni, giusto?
Ciao Marco, sì, mi sono fermata a Mandalay due giorni (ma con il senno di poi avrei fatto un giorno in più).