Lenti, sgarrupati, scricchiolanti, scomodi da morire e a volte anche un po’ lerci, imbrattati di scritte, vecchi, perennemente in ritardo, puzzolenti e malconci. Ma a volte anche confortevoli come il divano di casa, ordinati ed efficienti, rigorosi e puntuali, silenziosi e rapidi, eleganti e sofisticati. Mi piacciono tutti e non c’è ritardo o terza classe che mi faccia scappare la voglia di provarne di nuovi.
Questo post lo dedico al treno e alla dimensione di viaggio – unica – che sa regalare.
In principio fu la Freccia Orobica, quella sottospecie di treno (ancora a gasolio) lento oltre ogni limite, sempre troppo stipato di valige e di persone, e a quel viaggio interminabile che mi ha accompagnata per tante estati verso la Riviera Romagnola. Bergamo-Riccione in 8 ore, o giù di lì, roba che con quelle tempistiche avrei potuto imbarcarmi in un volo intercontinentale e arrivare in Asia. Ma nonostante tutto mi piaceva e ho imparato a volerci bene a quella carretta scoppiettante, a sopportarlo, nonostante i tempi biblici e l’affollamento costante.
Poi arrivarono i viaggi in Europa e su e giù per lo stivale, con la grande scoperta delle Frecce e del TGV, e la scoperta che il treno può anche significare agio e comodità, tranquillità e rilassatezza. Ti siedi in poltrona e non accendi la TV, perché la tua TV è già accesa: è il panorama che ti scorre davanti agli occhi e che ti catapulta in spazi dove le strade non arrivano, attraversando campagne e montagne, tra spazi stretti e spazi immensi, veloce ma allo stesso tempo in tutta calma, con una dimensione umana e sincera, raccontandoti storie che nessun aereo è in grado di sussurrarti.
Quindi l’incontro con gli altri continenti e la scoperta che sì, la dimensione lenta del viaggiare è quella che più mi appartiene. La constatazione che i viaggi in mare sono esaltanti, i viaggi in aereo la soluzione più pratica e veloce, ma i viaggi via terra, a stretto contatto con essa, con i piedi ben ancorati al suolo e alle persone, sono la mia dimensione.
L’aereo è un’imposizione, una soluzione pratica che però per me non ha nulla di poetico. Anzi. Viaggiare in aereo è diventato per me qualcosa di meccanico e insulso, connotato in modo anonimo, talmente anonimo che potrei trovarmi atterrata a Sidney o in Alaska tanto l’apparenza è la stessa. Tutti gli aeroporti in fondo si assomigliano, tutti sono fugaci luoghi di incontro e di scambio, con gli stessi colori e le stesse facce stanche e impazienti. L’aria condizionata sparata a palla, le code ai check in, le code ai controlli di sicurezza, le code ai gate. E ore di attesa.
Le stazioni sono un’altra cosa.
Le stazioni raccontano storie, pullulano di vita e di personaggi interessanti, mostrano spaccati di una città, raccolgono e custodiscono persone (anche persone derelitte), accolgono e trattengono, tra sguardi fugaci e passi veloci di viaggiatori e pendolari.
Le persone nelle stazioni sono libere. Libere di scegliersi il peso del proprio bagaglio, di non sottostare alle restrizioni e agli asfissianti controlli di sicurezza degli aeroporti, di salire su un treno al volo, qualche minuto prima della partenza e in modo del tutto naturale.
[Tweet “Il treno rimette addosso la disusata curiosità per i particolari (T. Terzani)”]
Se penso alle mie ultime esperienze di viaggio mi accorgo che il treno mi ha chiamato spesso e io spesso l’ho cercato, l’ho preferito, l’ho apprezzato in ogni sua forma o categoria. Dalla terza classe dei modesti ma dignitosissimi treni thailandesi agli sferraglianti trabiccoli delle linee ferroviarie birmane (in Myanmar sì che prendere un treno è un’avventura), al mio primo treno notturno (in Asia ovviamente), ai treni più insoliti (come il bamboo train in Cambogia) agli efficientissimi treni polacchi. Fino alla sorpresa di trovarmi a dormire in un ostello, a Valencia, ospitato proprio all’interno della stazione dei treni della città.
Sarà che sono diventata grande (o vecchia?), ma a me il treno non smette mai di piacere. Sarà la dimensione del viaggiare lenti, respirando a pieni polmoni, con tutta calma, senza fretta..
Ma poi c’è un altro motivo: le persone. Viaggiare su un modesto treno di terza classe regala incontri, incontri veri, con la gente più modesta e disparata, carica di sacchi e mercanzie, sempre pronta a condividere con te cibi di cui ignori il nome (e gli ingredienti), con cui scambiare una parola anche senza conoscere la lingua. Tutto è più palpabile su un treno. Tutto è più ricco di significati, di storie da scoprire e di volti da incrociare.
Intanto, il mio prossimo grande viaggio si avvicina a passi veloci. Un mio grande sogno non chiede altro che essere realizzato. Il treno mi aspetta.
[Tweet “E poi, il treno, nel viaggiare, sempre ci fa sognare. (Antonio Machado)”]