A volte ci sono stereotipi, idee e preconcetti che sembrano accanirsi con insistenza su alcuni paesi piuttosto che su altri (forse a torto, ma forse a ragione), popoli che finiscono per essere presi di mira ed etichettati inesorabilmente, con giudizi pesanti che finiscono per essere percepiti come dati di fatto.
Succede spesso con la Cina e con i suoi abitanti.
Io, a forza di sentirne di tutti i colori, a forza di sentire sparare giudizi spietati e sentenze atroci, ho finito per incuriosirmi e andare a metterci il naso. Come sono da vicino questi cinesi? Sono davvero così terribili?
Devo dire che il mio primo approccio con la Cina non è stato facile. Non tanto perché ci sono arrivata via terra, dopo tre settimane di Transiberiana, unica turista occidentale su un bus russo pieno di cinesi, diretta a Harbin, città nel nord della Cina non propriamente turistica; quanto piuttosto per il mio primo incontro con gli atroci controlli frontalieri.
Perquisita, interrogata e costretta a svuotare per intero il mio zaino e ogni mio avere (con tanto di controllo di ogni singola foto su macchina fotografica e iPad), i miei primi attimi (lunghi attimi) in Cina sono coincisi con una sensazione mai provata prima: quella di sentirmi come una narcotrafficante sud-americana di primo livello.
Arrabbiata, allibita e spazientita, il mio primo pensiero uscita dal checkpoint cinese è stato: “Cara Cina, così non cominciamo bene”. E invece..
Da quel momento in poi tutto è stato in discesa. Mi è bastato ritrovarmi dopo poche ore sul lungofiume di Harbin, al tramonto, tra le bancarelle e la gente intenta a mangiucchiare o fare ginnastica, e lo strombettare del traffico per sentirmi a casa. Gli sguardi incuriositi, i gesti a cui aggrapparsi per farsi capire, qualche rumore molesto di sottofondo (il risucchio, lo sputo, lo scatarramento indistinto di uomini e donne) a cui ci si abitua presto..
I cinesi, a pelle, mi sono sembrati simpatici fin da subito. Dopo un paio di giorni stavo già ridimensionando la mia prima impressione. Dico impressione perché non posso certo permettermi dei giudizi (i giudizi cerco sempre di evitarli e li lascio a qualcun altro).
Mi è bastato qualche giorno a Harbin, provare l’esperienza di passare la notte su uno scomodissimo treno hard-seat, ritrovarmi catapultata in quella meravigliosa bolgia che è Pechino, da cui sono scappata dopo due giorni per andare a trovare un po’ di pace a Guibekou, a godermi la Grande Muraglia e la vita di campagna, per poi tornare a Pechino e ripartire quasi contenta per poi ritrovarmi a casa con una grande grandissima nostalgia della capitale dove “non si vede mai il sole” (come dicono i più, anche se non è vero che è così).
[Tweet “Capire la Cina non è soltanto impossibile, ma inutile. (Ennio Flaiano)”]
Partita curiosa di conoscere la Cina e i suo abitanti, sono tornata ancora più curiosa di conoscere e piacevolmente stupita.
I cinesi mi sono parsi terribili da tanti punti di vista: lo sputacchiamento, gli affollamenti in cui ognuno cerca di avere la meglio sugli altri (ai cinesi viene insegnato fin da piccoli a essere molto competitivi), il sentimento ecologico che proprio non c’è, la smania di celebrare ricchezza e progresso con ponti, strade a sei corsie e sopraelevate ovunque. Insomma, le solite cose che si sapevano già (e, per la cronaca, ho visto molti cani a passeggio infiocchettati e trattati benissimo, che si sappia che non tutti i cinesi mangiano i cani).
Ho constatato però un pregio che secondo me fa passare quasi in secondo piano tutti i loro brutti difetti: la generosità, una virtù secondo me bellissima. Una generosità che mi ha spiazzato e lasciato a bocca aperta in tante occasioni e che mi ha colpito nel profondo.
Sdraiata in un parco di Harbin a riposare, i 3 ragazzi che stavano andando via che si sono avvicinati e mi hanno lasciato un tappetino dove sdraiarmi. Nella guesthouse a Guibekou, la signora che mi ha cucinato davanti agli occhi il pranzo e che mi ha allungato le susine e i pomodori presi direttamente dal suo orto. In bus verso Pechino, la ragazza che ha pagato per me il biglietto perché io non avevo la cifra giusta e il driver non poteva darmi il resto.
Gesti semplici, piccoli e spontanei, ma che hanno contraddistinto ogni giorno del mio soggiorno in Cina (e altri viaggiatori mi hanno raccontato tanti altri episodi simili).
Così, tanto per spezzare una lancia a favore dei cinesi.
La generosità consiste nel dare più di quanto tu possa, mentre l’orgoglio consiste nel prendere meno di quanto ti sia necessario.
(Kahlil Gibran)